Tra sguardo e contenimento: prepararsi alla vita in un abbraccio

 -aticolo originariamente apparso su "in ConTATTO, Trimestrale dell’Associazione Italiana Massaggio Infantile Anno XVII - numero 61/62 -  Estate/Autunno 2019

 

 

Colui che aspettiamo [...] non è colui che arriva

perché colui che aspettiamo

appartiene all'immaginario e al linguaggio,

colui che arriva

appartiene all'evento, al reale.

G. Bompiani

 

 

 

Passiamo nove mesi a dedicarci alla costruzione di uno spazio mentale e fisico su misura per il piccolo atteso: tinteggiature di stanze, acquisti sfrenati e poi progetti sui primi mesi, desideri, scelte ferme, volontà. Dopo la nascita ci ritroviamo, costantemente, con un frugoletto dallo sguardo interrogatorio e i polmoni potenti, un semi-sconosciuto che non parla ed è arrivato, per di più, senza delle reali indicazioni rispetto a come desideri essere trattato.

 

Dieci anni di lavoro con i neogenitori mi hanno insegnato quanto non ci sia preparazione che tenga davanti all'incontro con quel prezioso ospite che è il proprio bimbo. I libri letti, i corsi di accompagnamento alla nascita, certo, hanno un loro profondo valore informativo, sono una mappa da usare per compiere questo viaggio, che si realizzerà solo camminando insieme. D'altronde, in tutti gli incontri di amore sincero, non esiste alcuna guida, semmai qualche consiglio che rimarrà più o meno inascoltato. Ma non mettiamoci le mani nei capelli, questa è una vera salvezza! Proviamo a pensare: cosa sarebbe stato del colpo di fulmine con il nostro compagno, dell'amore nato nel tempo e nella conoscenza, del cammino mano per mano, delle cadute e del rialzarsi insieme, se lo avessimo ridotto a una serie di passi da seguire imparati in un corso o in un libro? La verità è che, quando ritorniamo a casa dall'ospedale, ci troviamo di fronte a un essere umano in carne e ossa che, seppur piccolo, ha già delle personali esperienze, delle emozioni, delle sensazioni e delle preferenze; un essere umano che, fra l'altro, ha vissuto da sempre in un posto diverso per gravità, stimoli, necessità e deve imparare a conoscere il posto in cui si trova, mentre inizia a ri-conoscere noi genitori. In questo incontro e ri-conoscimento si gioca tutta la poesia del primo sguardo e la tessitura di una relazione amorevole, per i grandi e per i piccini, in una danza tra fusionalità e differenziazione, legame e identificazione.

 

Il piccolo nasce da una totale simbiosi passiva con la propria mamma: avvolto dall'utero è amorevolmente contenuto in un ambiente saturo, totalmente appagante, in cui non c'è fame, sete, mal di pancia, in cui ogni bisogno è soddisfatto senza che nemmeno nasca sotto forma di esigenza e il contatto è continuo, in una comunicazione fatta di carne, biochimica ed emozioni. Qui nasce il concetto di "contenimento", dal punto di vista fisico ed emotivo: il piccolo trova benessere e vita attraverso le pareti dell'utero che gli danno casa e spazio per formarsi, sentendo che la mamma è fisicamente ed emotivamente in grado di rispondere alle sue esigenze e sensazioni. È un contenimento che non comprime fino alla fine della gravidanza: allora lo spazio si fa piccolo e, idealmente sempre attraverso un continuo abbraccio (il massaggio di tutto il corpo svolto dalle contrazioni) il bimbo viene alla luce, per ritrovarsi nuovamente avvolto, anche se in abbraccio un po' diverso. La simbiosi diviene attiva, ricercata, fatta di attese, connessioni, incomprensioni, e riappacificazioni. Il fatto che il bimbo appena arrivato sia sempre un po' diverso dall'immagine che ci eravamo fatti di lui è, in realtà, una protezione verso il figlio: gli fornisce un'autonomia, sottraendolo al possesso materno che potrebbe derivare dalla simbiosi (comunque necessaria e predisposta dalla natura nei primi mesi di vita, per garantire la sopravvivenza del cucciolo d'uomo). Il bambino reale, in carne e ossa, è sempre altro rispetto ai sogni e ai progetti che compiamo su di lui: questo ci dà la possibilità di incontrare una persona diversa, tutta da conoscere, ma ci mette anche in difficoltà nel trovare le modalità di gestire tale incontro, soprattutto all'inizio della relazione extrauterina.

 

Si dice che, a fornire reale identità al bambino, sia il primo sguardo: il cocktail di ormoni del postparto, la fatica e la gioia di avercela fatta, la sensazione pelle contro pelle, creano un momento magico e indimenticabile, di imprinting. La mamma, guardando negli occhi il suo piccolo, lo riconosce come suo: non un cucciolo d'uomo qualsiasi, ma un bambino vero, un soggetto unico, insostituibile. Se siamo tutti esseri speciali, è grazie alla creatività materna, che ci rende dei capolavori riconoscendoci nel suo sguardo. Non sottovalutiamo il ruolo del padre in questo meraviglioso e delicato processo: il papà è una "potenza ecologica", un concetto usato in ecologia umana per definire il ruolo di chi, contenendo, fornisce energia e implementa la qualità della vita e il benessere di chi è "contenuto". Se la mamma è potenza ecologica della bambina che porta in grembo, il papà è potenza ecologica dell'unità mamma-bambino ed è da questo sistema che scaturisce il benessere di tutti. Per il papà, il primo sguardo, in particolare, rende padre: dà senso e forma a tante immagini e fantasie costruite nei nove mesi nella mente ma che hanno avuto scarsi riscontri fisici (rispetto alla mamma, che vive 24 ore su 24 con la percezione costante della presenza del piccolo, il papà ha modo di vivere queste sensazioni soprattutto quando è in contatto con la mamma, con la pancia, quando le parla, sente i calcetti, esplora quel mondo così visibile e allo stesso tempo irreale).

 

Il rispetto e la tutela di questo primo sguardo sono spesso deputati all'operatore: in ospedale, l'ostetrica, il ginecologo, gli infermieri, sono quelle persone che possono effettivamente costruire il tempo dell'incontro, lasciando a posteriori tutte le pratiche non urgentemente richieste (taglio del cordone, bagnetto , test...). Se alla mamma e al papà verrà lasciata la possibilità di questo primo incontro, quante fatiche saranno risparmiate! I genitori riportano che, quando i primi momenti dopo il parto rimangono indisturbati, la sensazione è di imparare a conoscere da subito il proprio piccolo e anche l'allattamento è più facile quando il neonato ha potuto attaccarsi al seno entro la prima ora dalla nascita.

 

Il ruolo dell'operatore, anche nel post parto, sarà quindi quello di restituire le competenze al genitore. Più che un passaggio di consegne dall'ospedale per il rientro a casa, si dovrebbe parlare di un progressivo incremento delle cure dei genitori verso il piccolo: su questo si basa il riconoscimento della mamma e del papà come coloro che più di tutti conoscono i segnali del bambino e sanno ciò che è più giusto per lui.

 E se non lo sanno? Se lo chiedono a noi operatori, cosa possiamo fare? Il ruolo dell'operatore è primariamente quello di un facilitatore, colui che mostra ciò che il genitore ancora non vede, insegnandogli che cosa osservare e con quali sensi: sarà il caregiver a mettere a frutto questo apprendimento, per poter comunicare sempre meglio con il proprio bimbo. L'operatore è un supporto: permette alla famiglia di acquisire la propria forma senza mai arrivare a volerla mutare, snaturandola.

 

 

Ma eccoli, mamma e papà, rientrati dall'ospedale, tutti presi a cercare di capire il proprio piccolo. Quando il dubbio si fa grande, l'ansia cresce: "Cos'avrà? Ha già mangiato, fatto la cacca, è stato cambiato, e non pare assonnato...Perché piange?". Il segreto è, ogni volta, tornare a pensare a quel mondo da cui il bimbo proviene: dopo nove mesi cullata nell'utero materno, non può che ricercare l'ambiente conosciuto. Ecco perché è così importante coccolare i piccoli, senza timore di viziarli: nell'abbraccio, nel contatto pelle a pelle, il bambino ritrova la sensazione conosciuta, rilassa le membra e ritorna al benessere. Il contenimento fornisce un confine, la possibilità di percepirsi, di sentire "fino a dove arrivo io e dove inizi tu" e di imparare ad abitare sempre di più il proprio corpo, riconoscendosi una propria identità. Il contenimento fisico fornisce quindi anche un contenimento psichico, emozionale.

 

Attraverso il tatto, il processo di mielinizzazione (la formazione della guaina che riveste i nervi permettendo la trasmissione dei messaggi centro-periferia e periferia-centro) si completa più efficacemente e precocemente, consentendo alla piccola di capire cosa accade al suo corpo quando viene stimolato e come attivare i movimenti quando è il cervello a governare l'azione. In questo modo, la formazione dello schema corporeo del bambino sarà più completa e la rappresentazione di sé più ricca di sfumature: l'incontro con il limite permette percepire anche uno spazio in cui vivere le proprie emozioni e formare un proprio modo di essere, sempre più distinto da quello materno.

 

Nasciamo da una fusionalità che ci nutre e da cui ci separiamo solo per poter essere guardati, riconosciuti; cresciamo in un abbraccio che contiene ma non stringe, affinché possiamo sentirci liberi di essere noi stessi. È per questo che, per tutta la vita, ricercheremo quello sguardo e desidereremo quell'abbraccio: perché essere riconosciuti e amati semplicemente per quello che siamo è il conforto più dolce che si possa ricevere. E lo abbiamo già ricevuto.

 

Nicoletta Bressan

 

 

 

Bibliografia:

 

Bompiani G. (2011), L'attesa, Et al./ Edizioni, Milano

Mieli G. (2009) Il bambino non è un elettrodomestico. Gli affetti che contano per crescere, curare, educare, Urra-Apogeo, Milano

Schmid V. (2005), Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita, Urra-Apogeo, Milano

Vegetti Finzi S. (2017), L'ospite più atteso, Giulio Einaudi Editore, Torino